“Open”, Il teatro che riflette sulla cultura aperta e sul pensiero libero

“Open” ci consegna una triade di personaggi che hanno rincorso e perseguito la propria idea di libertà

Quinto spettacolo della rassegna Fuori in Scena al Teatro Dei 3 Mestieri, “Open”, una produzione Bottega del Pane, vincitore del Bando “Wiki teatro libero” promosso da Wikimedia e Wikipedia Italia. 

Ci muoviamo dentro ai margini della cultura aperta, del pensiero libero che strizza l’occhio al post-strutturalismo, di una riflessione in termini sociali rispetto a una precisa ricerca, di un teatro che ha già fatto i conti con la televisione e adesso prova a digerire tutta quanta la tecnologia. La multimedialità a piccole dosi, lo scherno dell’uomo risucchiato nel vortice dei social, l’isolamento del fruitore di immagini sbattuto in faccia allo spettatore che solo a teatro recupera il piacere del rito collettivo perduto. 

Queste le premesse di “Open”, concepito sulla scorta dell’esigenza pedagogico-teatrale di portare sulla scena tematiche attuali, disseppellendo al contempo storie passate esemplari. È un teatro, questo, che manifesta dinamismo nel panorama contemporaneo. E si fa carico responsabilmente di una funzione informativa e formativa. 

Sono tre i quadri che compongono “Open”. E Aurora Miriam Scala, autrice e regista, li dispone in modo da aumentare progressivamente l’intensità della poesia non sbandierata ai quattro venti, ma che pure soggiace all’impianto drammaturgico. Prendono dunque vita tre personaggi che hanno cambiato il mondo, che si sono battuti per la libertà.  

Si parte da Jimmy Wales, detto Jimbo, fondatore nientemeno che di Wikipedia, introdotto dal video di un’antenata che spezza un legno sulla pietra: una vittoria tra le tante.

Jimbo indossa un vestito dorato, una camicia bordeaux, una cravatta viola in barba alle superstizioni e un paio di scarpe turchesi. L’outfit sguaiato si confà perfettamente alle pose da finto mattatore di questo Jimbo, interpretato da Dario Garofalo, sempre a favore di videocamera e con le risate in sottofondo registrate, come dentro a una sitcom americana. Se perde il filo, se non buca lo schermo si interrompe e subito dopo riprende. L’argomento è di quelli seri: Wikipedia declinata in tutte le sue forme, utenti e amministratori, verificabilità delle fonti, un passaggio rapido, ma trascendente, sui concetti di verità e menzogna. E per enfatizzare la rivoluzione copernicana del web uno sguardo sul mondo di duecento anni fa: quello dei libri, dei quaderni, del calamaio. 

Si prosegue con Chelsea Manning, interpretata da una Luna Marongiu strepitosa. Si presenta al cospetto del pubblico dentro a una tuta arancione e alti anfibi viola. Sbuccia un’arancia per metà, poi la butta via. 

La storia di Chelsea è di quelle che fanno accapponare la pelle. Siamo drammaturgicamente distanti anni luce dal primo quadro. Qui l’atmosfera pesa, qui è in gioco la libertà personale. Chelsea era un bambino col rossetto fucsia. Chelsea era un bambino che sognava e al quale tutto sembrava possibile. Chelsea, di sera, era Brenda87 che si immaginava alla Presidenza della Nazione. Ma Chelsea ha scelto l’esercito e con l’esercito sono arrivate umiliazioni puntuali, precise. Ché se ti arruoli non puoi tenere la cover rosa nel telefono, ché se ti arruoli sei e devi essere maschio, senza equivoci. Allora tu taci, subisci, arranchi se è il caso. Ma non demordi. Poi esplodi. Di un’esplosione megagalattica, dentro a un disco della tua icona pop, Lady Gaga, che distrugge ogni cosa. L’analista di Intelligence a Bagdad sapeva troppo e troppo ha inteso divulgare. Come la storia dei due elicotteri Apache statunitensi che uccidono diciotto civili disarmati. Roba da far scomodare l’Assange di WikiLeaks. In carcere, dopo l’esplosione, Chelsea Manning si era guadagnata dapprima l’isolamento, poi due finestre oltre le quali provare a guardare. In mezzo il suicidio, tentato. Ma Chelsea, anche senza finestre, ha posato lo sguardo dove realmente doveva guardare: dentro di sé. E finalmente si è trovata. Sotto la tuta arancione, nel pizzo nero, in un’anima squisitamente femminile.

Il terzo personaggio di questa incantevole galleria è Emmy Noether, insigne matematica morta a 53 anni, genio da quando è iniziata l’educazione universitaria per le donne. A scrivere il suo necrologio è Albert Einstein, che non aveva mai avuto il piacere di incontrarla.

Aurora Miriam Scala, nell’interpretare Emmy, trova l’esatta misura tra il tono didascalico, talora freddo, che compete al personaggio e la necessità di trascinare lo spettatore nel suo mondo privato. La misura era la strada da percorrere e quella è stata percorsa, con garbo e abilità attoriale. Toccando picchi di poesia, persino nel contesto orrorifico del Nazismo.

Emmy era tedesca ed ebrea. Era la figlia di un professore universitario di matematica che non comprendeva la figlia, attratta dal suo stesso mondo. Emmy era decisa, caparbia, coraggiosa. Dentro la sua camicetta bianca col bavaglino merlettato aveva scalato le montagne: la laurea nel 1907, l’insegnamento non retribuito a Gottinga, una cattedra tutta sua dopo la guerra, la fuga a Princeton per sfuggire alla deportazione. A Emmy Noether si deve l’omonimo teorema, che zittiva quell’illustre stuolo di uomini di scienza che guardavano alle donne con sospetto, da posizione socialmente e culturalmente privilegiata. 

“Open” ci consegna così una triade alquanto significativa di personaggi che, in un modo o nell’altro, hanno rincorso e perseguito la propria idea di libertà. A tirare le fila del discorso si comprende quale possa essere il ruolo del teatro nella società contemporanea, quanto competa al teatro pungolare l’individuo affinché reclami per sé e per la collettività tutta la libertà subdolamente sottrattagli.

Si vince solo inseguendola, conquistandola. E Jimbo, Chelsea, Emmy, salvaguardati peraltro dagli acuti delle loro storie da una scrittura ponderata e gentile, ce lo sussurrano all’orecchio. La regia ne ha sostenuto il passo, delicato e deciso insieme.

Negli occhi restano il turchese delle scarpe di Jimbo, il pizzo nero della lingerie di Chelsea, la camicetta bianca di Emmy. La libertà in un colore, in un gesto, in una scelta, in una esplosione. 

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