“Traditori. Contro il ministro dei temporali”, la direzione ostinata e contraria del teatro

Secondo appuntamento della sesta edizione di “Atto Unico. Scene di Vita. Vite di Scena”, rassegna teatrale prodotta da QA-QuasiAnonimaProduzioni, lo spettacolo di teatro-canzone “Traditori. Contro il ministro dei temporali”. Autore, interprete vocale, narratore e cantautore Vincenzo Quadarella, alla viola e al violino Daniele Testa, l’allestimento di Valeria Mendolia. 

La riflessione che sta alla base del progetto riguarda la figura dell’intellettuale in Occidente, tradito e al contempo traditore. La sua funzione sociale si è gradualmente esaurita, fino a questo misero oggi ove latitano occhi capaci di guardare oltre, per sé e per la società. 

Durante la tavola rotonda seguita allo spettacolo si è molto dibattuto sull’argomento. A riprova dell’avido desiderio di confronto su temi attualissimi che muove le coscienze meno intaccate dalla mistificazione del reale.  Vincenzo Quadarella sgrana a poco a poco il suo rosario. Sono cinque misteri dolorosi a fornire lo spunto per trattare cinque grandi temi, scortati da altrettanti brani musicali.

Alle spalle degli artisti, prima che tutto abbia inizio, a lettere cubitali su carta per imballaggio una frase di Friedrich Nietzsche: “tutti gli ideali sono pericolosi perché avviliscono e condannano il reale”. E più di una volta Quadarella provvederà a sottolineare la differenza, nemmeno troppo sottile, tra idee e ideali. Altro argomento oggetto di dibattito e strettamente legato al ruolo dell’intellettuale nella società. 

Dal primo mistero doloroso scaturiva tuttavia il tema delle migrazioni, a partire dalle invasioni delle cavallette fino ad arrivare agli esseri umani. L’Occidente malediceva un tempo le cavallette, come adesso maledice i migranti. Ma Quadarella scava, come è giusto che sia, nel passato dei popoli, individuando nella Conferenza di Berlino del 1884-85 il principio delle sciagure in terra africana. Tempi, quelli, in cui gli africani avrebbero dovuto chiudere le frontiere agli europei, esattamente come oggi gli europei fanno con loro. Ma ciò non accadde. Vi si aggiungano semmai le responsabilità della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale: il grande bluff, l’illusionismo perverso dell’economia.

Alla gente mancano i fari illuminanti a livello culturale, secondo Quadarella. Come mancano il tempo, la voglia, il coraggio forse di approfondire. Spetta al teatro spargere qualche seme, spetta a chi appaga la propria sete di conoscenza tentare di appagare quella altrui coi mezzi che più gli competono. 

Tra le altre, la storia di Musine Kokalari, intellettuale e scrittrice albanese perseguitata dal regime comunista, morta in povertà e in totale isolamento. Lei che non aveva bisogno di essere comunista per amare il suo paese. Lei che rimase in silenzio per vivere. Perché le parole pesano. E fanno paura.

Dal terzo mistero doloroso, sull’incoronazione di spine a Gesù, il quarto mistero della salita al Calvario. E qui, carta dopo carta, compaiono i volti di Nietzsche e Hannah Arendt. Sul primo Quadarella argomenta per smentirne il superomismo in chiave nazionalsocialista e denunciare, ammesso fosse necessario, la strumentalizzazione subita post mortem. Alla Arendt si riconosce invece il ruolo di intellettuale che prescinde dalle  origini ebraiche, il pregio delle sue teorie politiche, di tutte quante le riflessioni sulle storture di una società priva, già allora, di senso critico. 

Mistero dopo mistero, si arriva al ministro dei temporali cui allude Fabrizio De André in quel gioiello di poesia e musica che è “La domenica delle salme”, premonitoria, lucida, accusatoria. Tra il rigurgito nazista, una democrazia che non esiste, la Baggina, gli immigrati polacchi, il terrorismo e le carceri. In breve, la fine della storia. 

Al quinto mistero doloroso crocifissione e morte. Come dire assoluta assenza di pensiero. Di contro, i versi del poeta albanese Visar Zhiti, incarcerato per aver semplicemente partorito pensieri ostili. “Ero rapato / sudicio e barbuto / Mi scostai / per non sembrare selvaggio / all’animale”. 

Ma il pensiero non muore, le idee superano i confini del tempo e dello spazio, sopravvivono al trapasso del corpo. E sono frasi scritte su una bara di vetro, sono l’urgenza di dire e dire e dire, che mai si sopisce. 

Alla politica di Quadarella, ché di politica sempre trattasi quando ci si rivolge a una qualsivoglia platea, è seguita quella espressa con il linguaggio della musica di Daniele Testa, presente in tutte le fasi della realizzazione dello spettacolo. 

Alla tavola rotonda gli artisti e Vincenza Di Vita, docente di drammaturgia, critico teatrale e direttore dell’Osservatorio Critico di QA-QuasiAnonimaProduzioni; Giovanni Raffaele, professore di storia moderna; Pier Luca Marzo, ricercatore in sociologia generale e docente di sociologia generale e sociologia dello spettacolo. 

Il tema del tradimento viene trattato da tutte le possibili angolazioni e declinato nei casi dell’interesse, della necessità, della rassegnazione che anestetizza. Sono risultate semmai distanti tra loro e talora discordanti le posizioni circa il ruolo dell’intellettuale nella storia. Per taluni intellettuale potrebbe voler dire guida, svilimento del pensiero collettivo e democratico. Per altri intellettuale è pensiero, è sguardo che valica i propri confini personali, è capacità di scavare, di leggere, di presagire la realtà. 

Si rammenta, tra gli altri, lo sguardo di Pasolini, quasi indovino nel presagire quel futuro che pochi allora intravedevano. 

Io stessa auspico il ritorno di menti illuminate come quella di Pasolini, grazie alle quali pensa e cresce un Paese intero.

Trascorse tre ore dall’inizio dello spettacolo ancora ci si confrontava sui temi trattati da Quadarella. A riprova di come il teatro possa e debba avvicinare le persone, svolgendo quella funzione sociale che più non appartiene a molte altre istituzioni. 

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