“Simposio” di Gaspare Balsamo, Dell’arte di scovare la sostanza e ancorarla alla realtà

Nella consueta formula che coniuga teatro e alta cucina, è iniziata ieri la dodicesima edizione del Cortile Teatro Festival.

Un’attesa più lunga del solito, vari ostacoli da superare. Poi però hanno prevalso la tenacia, il desiderio di accogliere le richieste, incoraggiamento tutt’altro che trascurabile, di quanti negli anni si sono trovati a trascorrere serate piacevoli muovendosi tra le prelibatezze del ristorante ‘A Cucchiara di Giuseppe Giamboi e il teatro nel cortile di palazzo Calapaj – D’Alcontres, scelto con grande cura dal direttore artistico Roberto Zorn Bonaventura.

Un cartellone fino a questo momento costituito da appena quattro spettacoli. Stavolta ci si ferma al cortile, riservandosi tutt’al più di programmare qualche evento a sorpresa nell’area Iris in seconda battuta.

Il sottotitolo è un omaggio a Rino Gaetano e richiama le aspirazioni, la fatica per mantenervisi fedeli, il filo sottile che lega e un minimo attenua lo sconforto dei sognatori.

L’edizione mira, inoltre, al recupero della nudità del palcoscenico, della vera essenza del teatro e, più in generale, della vita: un intento pregevole, lungimirante.

Ad aprire la rassegna il cuntista siciliano Gaspare Balsamo, con la prima assoluta dello spettacolo “Simposio. Il cunto d’amore dei cattivi maestri”, del quale è autore e interprete.

Balsamo è un assiduo frequentatore del Cortile Teatro Festival. La gente si consegna alle sue storie, si lascia sempre trasportare negli universi più disparati, cullare dalle parole e dall’alternanza dei ritmi.

Non si trattava, stavolta, di un cunto con una precisa componente metrica. Nel consegnare storie e aneddoti adagiati su due diversi assi temporali, mescolando peraltro con sapienza il tempo della storia e quello del racconto, Balsamo fa leva sulla sua innata arte del narrare.

Il testo è di un’arguzia e d’una armonia straordinarie. Gioca sulle analogie delle dinamiche nel resoconto dei fatti, sulle comuni coincidenze nell’apprenderli e poi riferirli. A distanza di secoli o anni, poco importa.

Così che Don Masino lo scarparo, dentro quella sua bottega che assume i contorni di un universo magico, possa assolvere il medesimo compito di Apollodoro che riferisce, raccogliendo a sua volta la preziosa testimonianza di Aristodemo, del simposio tenutosi all’indomani delle Grandi Dionisie in casa di Agatone. Laddove, nel 416 d.C., rimossi col vino i freni inibitori, si discorreva d’Amore.

A Gaspare Balsamo si riconosce il merito di aver porto alla platea la complessa materia filosofica contenuta nel dialogo di Platone con leggerezza e ironia, riservando la poesia al congedo di Don Masino, insegnante silenzioso, si direbbe “di strada”, o al discorso di Alcibiade sulla bellezza interiore di Socrate e l’insignificanza dell’involucro.

Per il resto, si ride tanto. Il cuntista passa in rassegna alcuni commensali e ne riporta le riflessioni sul tema. Da Fedro, protagonista di un altro importante dialogo platonico, che pone l’accento su chi ama e rappresenta Eros come una delle forze ancestrali connesse all’origine del mondo, a Pausania, che ne denuncia l’ambivalenza; da Eurissimaco ad Aristofane. Col grande commediografo ci si addentra nel mito e gli esseri rotondi unione di due maschi, di due femmine o di un maschio e una femmina, provvisti di quattro braccia, quattro gambe e due apparati riproduttori, che con tracotanza sfidarono l’ordine delle cose e furono divisi da Zeus, condannati a cercare in eterno la propria metà, diventano nel racconto di Balsamo due “arancin”, cui toccano diverse desinenze di genere e il destino della immarcescibile separazione.

Quindi tocca ad Agatone, che non smette i panni del poeta tragico e si abbandona a uno sproloquio privo di spessore filosofico volto a enfatizzare le virtù di Eros.

Poi è la volta di Socrate, che riferisce la conversazione con la sacerdotessa Diotima e sottolinea l’origine di Eros, figlio di Penia (povertà) e Poros (abbondanza), via di mezzo tra umano e divino, mortale e immortale, un demone praticamente.

L’intervento, a conclusione del simposio, di Alcibiade è un elogio a Socrate e alla bellezza che deriva dalla conoscenza di sé stessi.

Ci si sposta allora dal dialogo di Platone al mondo, alla vita, alla strada. Si afferra agevolmente il senso di un discorso che va bene per ogni epoca, per ogni luogo. E lì il cerchio si chiude. Da Alcibiade a Don Masino è un attimo.

Sull’estro, sulle abilità affabulatorie, sulla sua ben identificabile e personale cifra stilistica non si nutriva alcun dubbio. Ci si domandava semmai come e da quale angolo visuale potesse essere impostata una narrazione che traeva spunto nientemeno che da un dialogo di Platone. La risposta dimora in parte nella leggerezza, in parte nella capacità di andare a fondo alle cose senza sterili e inopportune elucubrazioni, piuttosto accarezzandone l’essenza, scovandone delicatamente la sostanza e ancorandola alla realtà.

Che poi, a guardarci dentro, lo spettacolo di Balsamo contiene tutte le premesse del Cortile Teatro Festival. E gli applausi del pubblico ne dimostrano l’efficacia, l’incisività, l’urgenza.

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