Minchia signor Tenente, lo sguardo più puro sugli eroi che non fanno notizia

La ragione per cui uno spettacolo vanti ben otto anni di repliche sta tutta nel suo valore. E il valore d’una rappresentazione teatrale poggia, come in questo caso, sulla genuinità degli intenti, sui contenuti e sulla maniera, che gli addetti ai lavori chiamano stile, di trasferirli al pubblico. Che poi c’è tutto un modo di raggiungere il cuore degli spettatori senza necessariamente impegnarli in disumani sforzi. È lì che il teatro apre le porte a tutti. Lì che un sorriso camuffa finanche una lacrima. Lì che se fuori è il caos, sulla scena l’ordine viene delicatamente ristabilito.
“Minchia Signor Tenente” è tutto questo, e molto altro. E davvero ci si domanda il perché di troppe poltrone vuote al Vittorio Emanuele, in un venerdì sera che a Messina vuol dire qualche locale à la page e un paio di chiacchiere innaffiate dall’alcol e dal frastuono.
Comincia tutto nel 1994, quando all’autore e attore Antonio Grosso toccò arrendersi innanzi all’idea di un’Italia refrattaria al cambiamento che proclamava vincitore al festival di Sanremo Aleandro Baldi e assegnava il secondo posto a quel Giorgio Faletti che in “Minchia Signor Tenente” aveva toccato tasti dolenti del Bel Paese. Poche note e tanta rabbia nella voce di chi indossava una divisa e per poco più di un milione al mese rischiava quotidianamente la vita. Era l’Italia della mafia e delle stragi, era l’Italia delle vittime che ieri a teatro sono passate in rassegna a sipario calato.
Non poteva meglio ricordare quei tempi Antonio Grosso, non poteva estrarre dal cappello uno spettacolo più divertente e al contempo intenso di quello che da anni porta sulla scena.
L’isola, l’isola bella è la Sicilia di Falcone e Borsellino, quella di Peppino Impastato, quella del giudice Dalla Chiesa. Ed è una terra meravigliosa in cui ha messo le radici la mafia, per crescere in mille modi diversi, ma per non appassire mai.
Di contro, in Sicilia ci sono piccole stazioni di Carabinieri nelle quali la vita scorre lenta, ordinaria, senza scossoni che non siano le denunce di furto d’uno che soffre di manie di persecuzione o l’amore che, in barba al regolamento, sboccia tra un carabiniere e la panettiera del paese. Storie che non fanno notizia, storie di uomini semplici che per uno scherzo del destino diventano eroi, senza averlo mai lontanamente immaginato. Sognato sì, immaginato mai.
L’arrivo del nuovo Tenente in quell’avamposto di legalità e del nulla radicatosi negli anni inceppa i semplici meccanismi collaudati e proietta i carabinieri in un universo che fino ad allora avevano potuto apprendere solo dai giornali.
Non si inseguono più ladri di galline. C’è un noto mafioso latitante da catturare. Cambiano dunque le prospettive, le priorità. E ahimè cambiano le missioni. Lì s’arresta la vita. Né vincitori né vinti. Solo il ritratto dolceamaro di giovani inconsapevoli d’essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ché la mafia non è così lontana. Ché la mafia si annida come polvere sul mobilio, e torna dopo appena essere stata spazzata.
Il merito di Antonio Grosso è averla portata sulla scena senza mai chiamarla in causa. Coadiuvato in questa coraggiosa operazione dal regista Nicola Pistoia, inappuntabile nella rappresentazione d’una quotidianità che non si prepara alla furia del male, e da una compagnia di attori la cui performance garantisce da sola il fine ultimo del teatro, di certo teatro: quello di accompagnare per mano lo spettatore nel sentiero che si è scelto per lui. Senza farlo stancare.

ARTICOLI CORRELATI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

SEGUICI SUI NOSTRI CANALI SOCIAL

6,704FansLike
537FollowersFollow
1,057FollowersFollow
spot_img

ULTIMI ARTICOLI