Estorcevano una parte delllo stipendio ai dipendenti, arrestati quattro componenti di una famiglia

Si tratta di componenti di una famiglia di noti imprenditori di Santa Teresa di Riva, adesso agli arresti domiciliari

Avrebbero preteso, con la minaccia del licenziamento, la restituzione di una parte dello stipendio erogato ai dipendenti. Quattro componenti della famiglia Saglimbeni che gestiscono il supermercato Decò, sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione e all’autoriciclaggio. Si tratta di  Carmelo Saglimbeni 74 anni, Domenico Saglimbeni 70 anni, Provvidenza Saglimbeni 49 anni e Carmen Saglimbeni 43 anni.

Ai quattro destinatari della custodia cautelare, viene contestato di aver costituito una strutturata organizzazione, dedita alla commissione di estorsioni nei confronti dei propri dipendenti.

Fondamentale, per lo sviluppo delle indagini, le dichiarazioni dei dipendenti del supermercato. I lavoratori hanno dichiarato che, mensilmente, erano obbligati alla restituzione – in contanti – di una parte dello stipendio. La Guardia di finanza ha documentato, inoltre, come I datori di lavoro, non avrebbero rispettato la normativa relativa all’orario di lavoro ed ai riposi spettanti.

All’inizio delle indagni, i finanzieri avrebbero rinvenuto anche una documentazione extracontabile – tra cui diversi inequivoci “pizzini”, agende e prospetti di calcolo.

Di qui, quindi, lo sviluppo dell’attività d’indagine, diretta dalla Procura della Repubblica di Messina. L’inchiesa è proseguita con approfondimenti documentali e  intercettazioni telefoniche, che avrebbero confermato il “ricorso a minacce e soprusi” nei confronti dei dipendenti. L’avvio e la prosecuzione dei rapporti lavorativi risultava proprio l’accettazione, da parte dei dipendenti, di condizioni contrattuali palesemente squilibrate.  Dalle indagini è emerso infatti che  “ ove non avessero accettato la proposta non sarebbero stati assunti ovvero che sarebbero stati licenziati”.

Per il Giudice del Tribunale di Messina si trattava di “un modus operandi consolidato, volto ad estorcere sistematicamente denaro ai lavoratori assunti e a imporre loro condizioni inique di lavoro al fine di conseguire ingiusti profitti economici, avvalendosi del potere di prevaricazione derivante dalle condizioni di difficoltà economica in cui versavano le persone offese; potere esercitato mediante minaccia, di volta in volta esplicita o velata, di licenziamento”.

Le indagini avrebbero permesso di accertare che gli indagati reinvestissero i proventi illeciti, pari a circa 200.000 euro oggi sottoposti a sequestro, nell’acquisto di terreni. Operazioni finanziarie illecite concordate da parte di tutti i sodali, al solo fine di autoriciclare il denaro provento delle estorsioni.

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