Ce ne dimenticheremo di questa Lisistrata

La “Lisistrata” di Aristofane con l’adattamento e la regia di Ugo Chiti è andata in scena al Teatro Vittorio Emanuele di Messina nell’ambito della rassegna annuale di prosa. Un atto unico a condensare la commedia rappresentata per la prima volta alle Lenee del 411 a.C., quando ancora divampava la guerra del Peloponneso. Quando, come sempre, la pace sembrava un orizzonte troppo lontano da raggiungere per l’uomo.

È alle donne pertanto che il massimo rappresentante della commedia attica antica affida il compito di sollevare i popoli dal peso d’un conflitto fratricida e, come ogni altro conflitto, inutile.

Il piano di Lisistrata, una volta appurate le debolezze dell’uomo, punta sul rifiuto dei mariti da parte delle donne fintanto che questi non si decidano a deporre le armi. Ed è un piano che funziona, che chiama in causa il desiderio sessuale per spingerlo alle estreme conseguenze e farne allegoria delle debolezze dell’universo maschile egregiamente dipinto da Aristofane.

Al tema attualissimo della guerra si legano nella commedia quello dell’emancipazione femminile, intesa non già come parità nel lontano secolo in cui fu concepita ma senz’altro come giudizioso spostamento dell’asse decisionale, e il tema del pacifismo cui aspirare solidalmente in nome del benessere collettivo. Per questa ragione “Lisistrata” offre spunti preziosi e si presta a riscritture e adattamenti che, nell’adeguare certe sfumature a un presente ben più disinvolto e navigato, sappiano custodirne e attualizzarne il valore.

La strada imboccata da Ugo Chiti nella messa in scena della sua “Lisistrata” ha consentito, come era giusto che fosse, di mantenere intatte le tematiche originali, ma riponendo eccessiva fiducia sulla capacità di divertire il pubblico di situazioni ai limiti del grottesco concepite molti secoli or sono.

I classici della letteratura – ché di letteratura si tratta quando ci si addentra nel mondo di certa scrittura teatrale – sono tali in quanto valicano i confini del tempo e dello spazio. Si devono tuttavia tenere sempre in gran conto le attese dello spettatore, in termini di godimento, non soltanto di intendimento. Poche risate in sala e qualche sbadiglio di troppo hanno ahimè dato la misura di come un’operazione che, a suon di doppi sensi e con la costruzione scenica della farsa, scommetteva sulle risate abbia mancato l’obiettivo.

E mentre gli interpreti, capitanati da un’abile e misurata Amanda Sandrelli nel ruolo della protagonista, svolgevano il loro onesto lavoro, calati peraltro nel contesto sobrio delle scene cineree di Sergio Mariotti e dentro ai costumi dalle gradazioni purpuree, fatta eccezione per l’abito arancione di Lisistrata, di Giuliana Colzi, lo spettacolo scivolava via senza lasciare il segno.

Della produzione Arca Azzurra avevo apprezzato “L’avaro” di Molière nella rilettura dello stesso Ugo Chiti, con un cast nel quale figuravano gli stessi Giuliana Colzi, Lucia Socci, Dimitri Frosali, Andrea Costagli, Massimo Salvianti e Gabriele Giaffreda di questa “Lisistrata” cui si sono aggiunte Amanda Sandrelli, Lucianna De Falco ed Elisa Proietti. Ma con Molière è evidentemente più semplice prendere per mano il pubblico e trascinarlo dentro a quel mondo di Arpagone ove le amenità in grado di suscitare il riso sono più simili a quelle cui siamo avvezzi.

La “Lisistrata” di Aristofane richiedeva forse un maggiore sforzo di adeguamento al presente, in termini di linguaggio, di azione, di selezione, affinché non si smarrissero per strada la forza e l’attualità dei contenuti, affinché non ci si perdesse tra i meandri dell’inverosimile, dell’esagerazione che nel 411 a.C. divertiva, scandalizzava forse, ma che oggi più facilmente tedia.

Di Ugo Chiti custodiamo come gioielli preziosi molte regie teatrali e altrettante sceneggiature cinematografiche. Auspichiamo inoltre che l’enumerazione di questi monili presto ulteriormente si impingui, ma di questa “Lisistrata” temo ce ne dimenticheremo presto.

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