Al Vittorio Emanuele, La Traviata che non osa sfidare le convenzioni

Nel solco della tradizione e facendo affidamento su soluzioni drammaturgie che non osano sfidare le convenzioni, è andata ieri in scena al teatro Vittorio Emanuele “La traviata”, melodramma in tre atti, terzo e ultimo titolo della trilogia popolare di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave.
L’opera, tratta da “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas, rappresentata per la prima volta il 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice, ove non riscosse il successo sperato, è oggi uno dei titoli più eseguiti del repertorio operistico. A Messina sarebbe dovuta andare in scena a maggio scorso, nell’ambito della stagione passata. Il recupero, che salda il debito contratto con gli abbonati, funge al contempo da preludio al cartellone 2018/2019, almeno per ciò che concerne la prosa perfettamente fedele alle scelte artistiche, non del tutto condivisibili, degli ultimi anni.
Tra polemiche, critiche e traversie amministrative, “La traviata” rifornisce dunque di nuove energie uno spazio cui andrebbero rivolte cure e attenzioni particolari onde evitarne il lento e inesorabile declino; uno spazio che fosse capace di accogliere e promuovere i talenti locali, abbattendo finalmente le barriere innalzate dalle istituzioni e contro le quali è costretto a infrangersi il vero teatro.
La riuscita di questa Traviata si deve senz’altro alla misurata regia di Carlo Antonio De Lucia e alla inappuntabile direzione dell’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele di Carlo Palleschi. Vi si aggiunga il contributo artistico determinante del coro lirico “Francesco Cilea” diretto da Bruno Tirotta e degli interpreti.
Scene e costumi, curati dallo stesso De Lucia, accoglievano il dramma di Violetta Valery nel medesimo contesto per cui esso fu presumibilmente concepito. Nulla che rompesse con la tradizione, nessuna sperimentazione, nessun azzardo. La lettura dello spettacolo è lucente, a dispetto del crepuscolarismo dei contenuti. I momenti di convivialità offuscano il dramma che a essi soggiace. Solo la desolazione nell’ultimo atto, allo stadio estremo della malattia della protagonista, spazza via le luci e i colori della festa, finalmente creando quell’atmosfera decadente che pervade l’intero melodramma verdiano.
Elvira Fatykhova è una Violetta credibile sulla scena, convincente nella passionalità dell’interpretazione. Qualche problema, invece, nel passaggio di registro e negli acuti per l’Alfredo di Roberto Iuliano, trascurabile nel complesso della sua dignitosa performance.
L’ingresso di Giuseppe Altomare nei panni di Giorgio Germont elargisce stile e qualità alla rappresentazione. Perfetto controllo della voce e la passionalità che richiedeva il personaggio.
Ben inserite nel contesto anche le voci di Sara Palana (Flora), Francesca Canale (Annina), Davide Scigliano (Gastone), Alberto Crapanzano (Barobe Dauphol), Alessandro Vargetto (Marchese d’Obigny) e Maurizio Muscolino (dottor Grenvil).
Il pubblico, accorso numeroso, ha decretato il successo de “La traviata”. La lunga attesa dello spettacolo e della stagione che si appresta a partire termina qui. Dopo le repliche del capolavoro di Verdi il 18 e il 20 novembre, sarà la volta della lettura drammaturgia di Leo Gullotta di “Pensaci, Giacomo” il 14 dicembre.
Una breve digressione. Parallelamente alle travagliate stagioni del Vittorio Emanuele, a Messina si è fatto largo un nuovo modo di intendere il teatro. Negli spazi off della città, che accolgono un pubblico sempre più attento e numeroso, le stagioni sono sempre un rischio. Eppure lì ogni anno si rinnova la sfida di non abbassare il livello qualitativo dell’offerta per sbarcare più agevolmente il lunario. Una maniera di resistere, quando tutto attorno sembra essere destinato a franare. A quei teatri, a quei talenti locali che in essi trovano spazi per esprimersi, o per replicare quanto già espresso ben oltre i confini nazionali, le direzioni artistiche di un teatro stabile dovrebbero guardare. Ciò non vorrebbe dire ghettizzare. Valorizzare e valorizzarsi, piuttosto. In una parola sola, crescere.

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