L’adolescenza che investe, come la Kryptonite, nel monologo di Orazio Condorelli

Posto che si reciti per tutta la vita, c’è un tempo, quello dell’adolescenza, in cui occultare la propria vulnerabilità diventa indispensabile per sopravvivere. Piuttosto ci si atteggia a supereroi per eludere quella kryptonite che sintetizza le debolezze umane. Si ostenta la forza per offuscare le paure. Si millanta irremovibilità per non ammettere che le prospettive cambiano di continuo, insieme alle idee, alle passioni, ai sogni.
Una materia complessa da trattare senza restare invischiati negli stereotipi o, peggio, sprofondare nella banalità. E a tutto ciò si è ingegnosamente sottratto Orazio Condorelli, nella doppia veste di drammaturgo e regista, mettendo in scena “Kryptonite”, alla riuscita del quale ha contribuito in maniera sostanziale l’interpretazione di Peppe Macauda, menzionato dalla giuria al Minimo Teatro Festival di Palermo 2017.
Sulla scena un microfono, una maschera antigas, una bicicletta e un lampeggiatore. Bastano per accogliere tutta quanta la vulnerabilità, eccezionalmente manifesta, di un giovane alle prese con i primi batticuori, con le angherie dei coetanei, con un padre all’apparenza distante dalla sua personale weltanschauung. Bastano e sono impreziositi dal disegno luci di Salvatore Frasca, che pedina la scrittura, marcandone i rintocchi.
L’amore per la ragazza dai capelli rossi e quello per i fumetti sono entrambi volti alla fabbricazione dei sogni, essenziali nel tempo in cui il passato è verosimilmente più breve del futuro che si ha innanzi.
È l’estate del 1989, quella della caduta del muro di Berlino, quella della Lambada, quella degli “stronzi della villetta”, quella che consacra, attraverso la morte del padre, la fine di un tempo. Quella che recapita il dolore e, insieme a esso, il coraggio necessario ad andare avanti. Ché di coraggio ce ne vuole, sempre.
“Testa di mulinciana” comprende bene che solo Superman può sottrarsi al giogo di un’esistenza non sempre lieta come la si vorrebbe dipingere. Tutto è passeggero in quegli anni, anche la sua Lois Laine che intanto prende i bulli a sassate ed esplora insieme a lui i nuovi angoli del pianeta. Anche il padre, fisso a quell’ultima corsa e intrappolato in un sogno, a incoraggiare il figlio in tutti gli anni a venire.
“Krypronite”, in scena al teatro Dei 3 Mestieri nell’ambito della stagione “Radici per restare”, conferma l’estro di Orazio Condorelli e la versatilità dell’attore cui il regista catanese ha cucito addosso un personaggio credibile che, senza infingimenti, parlasse di sé col cuore. Cadendo e rialzandosi tutte le volte, come un supereroe.

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