Luigi Giacobbe spiega il quadro “Messina Restituita alla Spagna” di Luca Giordano

Ha preso il via, per il secondo anno consecutivo, il ciclo di incontri “Conversazioni d’Arte in Sicilia”, organizzato dalla Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina, Sezione Beni architettonici e storico-artistici, presso l’ex Cappella del Buon Pastore, è finalizzato alla promozione e valorizzazione del patrimonio culturale siciliano.
Tra le relazioni esposte nel secondo appuntamento – il cui programma è consultabile sul sito della Soprintendenza -, ha riscosso particolare apprezzamento quella dello storico dell’arte Luigi Giacobbe: “Una lettura della Messina restituita di Luca Giordano” dedicata alla descrizione iconografica ed iconologica del quadro allegorico del pittore napoletano di cui una modestissima riproduzione fotografica è presente nella Sala del Consiglio comunale di Palazzo Zanca. Tale riproduzione fu collocata qui dopo la chiusura della mostra “Messina. Il ritorno della memoria”, allestita a Palazzo Zanca dall’1 marzo al 28 aprile 1994, mentre, il dipinto originale, un olio su tela di mt. 2,72 x 4,43, si trova al museo del Prado di Madrid.
Lo splendido dipinto di Luca Giordano “Messina restituita alla Spagna”, da diversi anni, in città, infiamma gli animi dei “paladini della messinesità” ed è oggetto di varie interpretazioni spesso portate avanti da opinionisti, appassionati e sedicenti esperti che, a colpi di conferenze stampa, botta e risposta a mezzo stampa e via social si contendono l’ortodossia nella comprensione allegorica del quadro, dipìnto, è bene ricordarlo, a seguito del trattato di pace di Nimega, stipulato nel 1678 tra la Francia e la Spagna, che pose fine alla rivolta antispagnola di Messina.
Al di fuori di ogni sterile polemica ed in una consonanza di modi e luogo, lo storico dell’arte, Luigi Giacobbe, ha fatto intraprendere un viaggio all’interno di questo complesso dipinto ridando luce al genio ed alla maestria del suo autore. Un quadro in cui nulla è lasciato al caso, dove ciascuna delle 25 figure, dei numerosi simboli, fin nei più impercettibili dettagli sono funzionali alla lettura dell’opera.
Partendo da sinistra, in lontananza, si scorge un mostro a più teste, identificabile con l’Idra di Lerna, il drago le cui nove teste, anche se tagliate, ricrescevano e che Erasmo da Rotterdam assimila alla guerra giacché “guerra genera guerra”. L’atmosfera bellica è identificabile anche attraverso la presenza del cieco furore, ovvero l’uomo bendato in basso a sinistra, seduto sulle armi ed accompagnato da una bandiera rossa, che simboleggia la prontezza alla guerra, ovvero l’essere disposti a battersi. Ed ancora, la figura femminile il cui corpo si rivolge sia a destra che a sinistra, mentre un piede è in bilico su una sfera e con la mano regge una canna spezzata da cui si intravede il vuoto interno, rappresenta l’incostanza, ovvero l’inaffidabilità che stabilisce un contatto con la figura maschile, chiaramente identificabile con un soldato francese (riconoscibile dallo scudo con il simbolo della Francia, ovvero il giglio e dall’elmo sormontato da un gallo).
Storicamente, durante la rivolta le fazioni antispagnole chiesero la protezione del Re di Francia, Luigi XIV, tuttavia, gli occupanti francesi si abbandonarono ai peggiori abusi contro Messina ed i suoi abitanti e fu all’insaputa della stessa città che la Francia firmò il trattato di pace di Nimega. Il comportamento francese violento, oltre che inaffidabile, lo si legge bene nel soldato francese che calpesta il piede di una giovanissima e piangente donna nuda, che occupa quasi la porzione centrale del dipinto. La donna rappresenta la stessa città di Messina, identificabile dal capo “turrito”.
Uno dei tanti dettagli indicativi della complessità dell’opera e dell’attento studio, – in questa sede molto sommariamente descritto -, che ne ha fatto il relatore, è dato dal finto errore dell’orecchio della donna dipinto al contrario; dalle analisi radiografiche è stato riscontrato che trattasi di ripensamento successivo (giacchè, in origine, l’orecchio era stato correttamente dipinto) vòlto a simboleggiare la “sordità” di una città che ha scelto la ribellione. Ma la città di Messina, ovvero la donna turrita, è rappresentata oltre che sorda anche cieca ed è un putto con una ciocca di capelli fiammeggiante, che simboleggia l’intelletto, a toglierle la benda dagli occhi.
Messina, così, si protende verso una donna, dipinta nell’atto di essere incoronata dalla Vittoria alata, circondata da tre donne, personificazione delle tre virtù Temperanza, Giustizia e Prudenza, identificabili dai simboli e dagli animali di riferimento, ovvero, un rametto di palma per la Temperanza, la bilancia e lo struzzo per la Giustizia ed il serpente e lo specchio per la Prudenza. La quarta virtù, ovvero la Fortezza, i cui animali di riferimento sono l’aquila e il leone, sono inglobati nella donna che riceve la corona, ovvero la Spagna.
“Messina, presa dal furore, sorda, cieca, instabile noncurante dei doni che poteva ricevere e della pace sicura, per un certo lasso di tempo ha inseguito una vana utopia ed intanto veniva presa a calci dai francesi. Insomma, aveva preso un granchio. Ma ora, per tramite bella benignità, grazie alla prudenza riflessiva al senso di giustizia è perdonata e maternamente accolta da chi è veramente forte per natura: la Spagna incoronata dal genio della Vittoria.”
Nota a Margine: nel sito della Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina https://www.soprintendenzabcamessina.it/index.html è possibile scaricare le relazioni del ciclo di incontri dello scorso anno.

 

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