In 10 anni, 2000 lavoratori in meno e 9 coppie di treni soppressi, RFI abbandona l’area dello Stretto

Sono i numeri a testimoniare il disimpegno di Trenitalia nell’area dello Stretto. Il refrain che della riduzione del gap tra Sud e Nord ormai viene ripetuto alla noia da tutti i politici che si sono succeduti negli ultimi decenni. La Cisl Messina e la Fit Cisl di Messina, hanno deciso, quindi, di esaminare tutti gli aspetti del trasporto ferroviario e non solo sul territorio con analisi e dati che vengono approfonditi nel corso di riunioni periodiche per studiare il «gap infrastrutturale, ma anche della offerta di servizi ai cittadini».

«Sul fronte dei trasporti – ricorda il segretario generale Tonino Genovese – non occorre andare troppo indietro con la memoria per ricordare quale era l’offerta delle ex Ferrovie dello Stato, ora Trenitalia, in Sicilia. Nel 2007 si contavano quattordici coppie di treni, che collegavano le direttrici Palermo/Siracusa a Roma, Milano, Torino e Venezia. Ed attraversare lo Stretto per raggiungere la dirimpettaia Reggio era esercizio facile a tutte le ore grazie alla presenza di dieci navi, 5 traghetti e 5 zattere, della flotta FS (ora RFI)».

Oggi ci sono ben altri numeri: a solcare lo stretto, RFI ha lasciato una flotta di due navi, una delle quali in esercizio solo per 16 ore, che servono a trasportare esclusivamente le attuali cinque coppie di treni intercity, quattro delle quali raggiungono Roma e una sola Milano che, peraltro, avendo dovuto abbandonare il tracciato più veloce via Bologna, impiega oltre venti ore:

«Stiamo parlando di tempi di percorrenza “ante guerra” – spiega Lillo D’amico segretario territoriale della Fit Cisl di Messina – e per questo servizio RFI Navigazione incassa dal contratto con il Ministero dei Trasporti ben 35 milioni di euro all’anno, ai quali dobbiamo aggiungere quasi 20 milioni (attraverso Trenitalia) per le tracce dei treni intercity».

La scelta di disimpegno delle due società del gruppo FS (RFI e Trenitalia) ha comportato la quasi totale chiusura delle Officine Ferroviarie di Messina, che si occupavano della manutenzione delle carrozze, dando impiego a oltre quattrocento dipendenti; la riduzione a sole tre macchine di manovra nella Stazione di Messina, a fronte delle undici utilizzate prima del 2007, con una ricaduta di oltre duecentocinquanta posti di lavoro in meno; l’abbandono del Deposito Locomotive di Messina, nel quale erano impiegati oltre quattrocento macchinisti, adesso ridotti a sessanta unità; la riduzione del personale di bordo treno e cuccettisti con una perdita di duecento unità; la già citata riduzione delle navi traghetto con una ricaduta occupazionale di oltre cinquecento posti di lavoro.

«Sono numeri impressionanti – attaccano Tonino Genovese e Lillo D’Amico – e forse ancora non è stato compreso il danno economico per il territorio di Messina: oltre mille e seicento posti di lavoro persi ed a questi si aggiungano l’indotto degli appalti per una cifra che sfiora quasi le duemila unità. E questo è avvenuto in poco più di un decennio».

La Cisl evidenzia come l’emorragia non è destinata ad arrestarsi visto che Trenitalia, nel disinteresse della politica regionale e nonostante il recente Contratto di servizio firmato con la Regione Sicilia (con un contributo di oltre 110 milioni all’anno), prosegue nella sua strategia di delocalizzazione delle lavorazioni. «Ultimo caso – sottolinea Genovese – è la ventilata chiusura della Officina Grandi Riparazioni di Gazzi, unica realtà in Sicilia in grado di svolgere lavorazioni “pesanti” sul materiale rotabile. Ipotesi in campo nonostante i 58 milioni di investimento in questo tipo di manutenzione ed i 13 milioni per il rinnovamento degli impianti, inseriti da Trenitalia alla stipula del Contratto di servizio con la Regione».

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