“Giorgio”. L’irrefrenabile bisogno di fermare le cose, per non lasciarle appassire

Il dolore non passa. A teatro puoi semmai provare a esorcizzarlo, trasfigurandolo fino al punto di scoprirlo diverso; non più accettabile, ma di certo meno orrendo. È il miracolo dell’arte quando trasforma in bellezza persino i supplizi cui disumanamente sottopone la vita.

Giuseppe Gatti, meglio conosciuto come Nexus, ha preso il proprio dolore e ne ha fatto parola, performance, installazione. Ciascuno espelle del resto ciò che dentro ribolle nella maniera che più gli si confà. E Nexus, da ricercatore sui media, performer e ballerino di break dance, ha messo in piedi lo spettacolo multimediale “Giorgio”, andato ieri in scena ai Magazzini del Sale, nell’ambito della stagione organizzata dal Teatro dei Naviganti.

Terni, fine millennio. Il momento opportuno per rivivere quella manciata di ricordi atti a restituire imprenscindibili frammenti d’esistenza. Giuseppe rivive sulla scena l’infanzia trascorsa tra i simulatori di volo della sala giochi Batman e le battute di caccia ossimoricamente legittimate dall’amore sconfinato per la natura. Accanto a lui, ingombrantissima figura, il padre. “Volava, giocava al solitario e fumava. Io ballavo, chattavo e scaricavo di tutto“. A strapparlo a Giuseppe quel terribile mostro che sembra essere il leit motiv della sua storia familiare: il cancro.

Lì, sulla soglia di casa, di ritorno dalla lezione di break dance, cambia tutto. E al contempo lì tutto prende forma: il passato, il presente e il futuro. L’istante esatto in cui si perde la fede, quello che ti sbatte in faccia la morte.

A combatterla la trasfigurazione del tempo, il filtro potentissimo del teatro. Così che da una drammaturgia senza orpelli ma intrinsecamente stentorea Nexus parta alla volta di territori a lungo esplorati singolarmente e che adesso si mescolano, si confondono, diventano un tutt’uno: la danza, i video, la musica. Soluzioni performative che, se non spiazzano chi è avvezzo a certo teatro contemporaneo, quanto meno imprimono ulteriore vigoria alle parole. Nexus adopera il corpo per esplorare la propria anima e lo plasma come presumibilmente non gli riesce di fare con la vita. Ché quella non si presta a essere modellata. Ci sono tutt’al più cartoni animati che segnano, c’è Schwarzenegger, c’è il declino di una città e la crisi di un’intera generazione. All’orizzonte il cinema, la tecnologia. Occorrono solo nuovi occhi per guardare.

Laura Garofoli, nella veste di aiuto regista, si è a sua volta servita della collaborazione di Claudia Salvatore, per adattare al teatro quelle parole di Nexus che semplicemente ridiscutevano una prospettiva. Un lavoro prezioso e volto a valorizzare le abilità performative dell’attore nell’atto in cui riproduce la sua stessa vita, amatoriale come il primo cortometraggio girato, e la reitera all’infinito, solo amplificandone gradualmente la velocità.

I media dominano la scena allestita da Andrea Simonetti. E sono quelli degli anni Novanta che ancora oggi esercitano un incredibile fascino su chi ha avuto il privilegio di adoperarli. Quelli che spalancavano mondi su piccoli universi di poche cose, tutte significative però.

Quando la morte invade la scena subentra la rabbia, per un istante. Subito dopo la malinconia. L’irrefrenabile bisogno di fermare le cose, con la mente, per non lasciarle e lasciarsi appassire.

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