Delirio bizzarro in un centro di salute mentale, proposto da Carullo e Minasi

Se è vero che il folle sragiona molto meno di quanto si creda o forse non sragiona mai, allora c’è motivo di pensare che l’insania possa risiedere anche altrove.  Ed è quanto s’intravede sulla scena del teatro Vittorio Emanuele, ove un uomo e una donna lasciano sfumare i contorni di protocolli da rispettare e, interagendo ciascuno alla propria maniera, si svincolano senza volerlo dai ruoli che la società ha imposto loro. Mescolando alienazione e assennatezza, assottigliando distanze, restituendosi quella condizione umana senza logica, senza categorie.
Un centro di salute mentale che è terra di frontiera, cattedrale ultima dell’identità interrotta, ospita Mimmino e Sofia, due solitudini in quel consorzio umano che li rende prigionieri di se stessi.
Mimmino è pazzo, trascorrere il proprio tempo interrogando le stelle e s’intende d’invalidità nemmeno fosse un impiegato dell’INPS.
Sofia non è pazza, almeno sulla carta, risulta apparentemente integrata ed elegge la professione a ragione di vita. Il loro interagire è quel “Bizzarro delirio” che dà il titolo alla pièce teatrale dei due stessi protagonisti, Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, e per magia del quale il braccio di ferro tra due esistenze opposte si risolve nella meno plausibile ma oltremodo umana spartizione della medesima scena esistenziale. Sono due solitudini cui la società rende arduo il compito di tirare avanti, ma sono due solitudini che sorridono e vivono. Grazie a esse non si operano nette distinzioni tra sanità e follia, tra certificante e certificato.
E chissà che i malati non esistano. E che il delirio bizzarro riguardi tutti noi.

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