“Camurrìa” di Balsamo e il sapore dolceamaro delle cose andate per sempre

Un senso di malinconia aleggia in quell’aria che profuma di pioggia estiva, nel cortile del settecentesco palazzo Calapaj – D’Alcontres dove l’associazione “Il Castello di Sancio Panza”, con la direzione artistica di Roberto Zorn Bonaventura, e il ristorante ‘A Cucchiara di Giuseppe Giamboi hanno organizzato anche quest’anno “Il Cortile – Teatro Festival”. Una maniera, la loro, di opporre resistenza all’apatia delle istituzioni, di continuare, malgrado ciò, a credere nel teatro e nella bontà di quel lavoro cui unicamente gli spettatori, anche quest’anno numerosi, attribuiscono il giusto riconoscimento. La malinconia, dicevo, insieme al sapore dolceamaro delle cose andate per sempre sono stati ieri la diretta conseguenza della dirompente performance di Gaspare Balsamo e di quel genuino salto nel tempo che è “Camurrìa”, in replica eccezionalmente stasera dopo il sold out nell’unica data prevista. Il teatro dei Pupi, un tempo, costituiva per la gente semplice il mezzo prediletto di evasione. Ci si affezionava ai paladini, si faceva il tifo per loro, se ne conosceva la genealogia e ci si adoperava in ogni modo per assistere agli spettacoli che ne esaltavano le gesta. Era quello un mondo in cui lo stupore poteva imprimersi nelle facce della gente durante il duello di Orlando e Rinaldo, catalizzatori delle simpatie di quelle due fazioni che parteggiavano per l’uno o per l’altro. Lo stupore era la sconfitta di Gano di Magonza, la strenua difesa dei cristiani innanzi agli attacchi dei saraceni. Lo stupore era la capacità di lasciarsi ancora e ancora catturare da un mondo noto come se lo si apprendesse per la prima volta. Il tempo lì s’arrestava. Lì si era altrove e precisamente in quelle stanze mentali affrescate dalla letteratura epico-cavalleresca che affonda le radici nella Francia dell’XI secolo. Quello di Gaspare Balsamo, introdotto dalle reali testimonianze di chi l’ha vissuto, è il recupero memoriale di quel mondo senza televisione ove il teatro dei pupi era la fuga dalla realtà, dalla fatica, dagli affanni appena dietro l’angolo.
E dalla preghiera laica contro la “mala sentenzia” di zia Betta, che nella sua mano destra recava il sempiterno “fari e sfari di lu Strittu di Messina”, prende le mosse il monologo di Gaspare Balsamo, che attinge ai ricordi familiari e, in particolare, a quelli legati al nonno, contadino nato nel 1907, cui il teatro dei pupi di Don Federico Lucchesi regalò il sogno della prima della quinta dei cristiani, dopo la scalata tra quegli spazi del palcoscenico che preludevano alla gestione di Orlando e Rinaldo. È in un salone da barba che Balsamo riesuma le stagioni di una vita filtrata dagli occhi della gente: la vecchina, moglie del puparo, coi i pupi sparsi per casa e i ricordi nel cuore quando la vista non può più assisterla; i “cantalanotte” che svegliavano chi doveva lavorare e cullavano quelli che potevano dormire ancora; la curiosità del francese dietro le quinte e la carrellata dei pupi, con la presentazione ufficiale di ciascuno di essi e quel rispetto che si riserva soltanto agli eroi. “I pupi sanno che noi lo facciamo per il loro bene”, come fossero uomini in carne e ossa. Balsamo diventa così egli stesso paladino quando inscena duelli, ora che il pubblico non si accorge più dei tagli e non può contestarli. Ora che nessuno più dà il nome dei paladini ai figli e i barbieri non hanno rasoi che richiamano le spade di Orlando e Rinaldo. Ora che tutto è finito e non resta che il senso di appartenenza a quel mondo in cui il mestiere del puparo si faceva con fede. Ora che il nonno, capace di commuoversi innanzi alla statua di Carlo Magno a Parigi, sconsolatamente riconosce che “non è rimasto più niente”.
Gaspare Balsamo, allievo di Mimmo Cuticchio, ha il merito di aver disseppellito parte di quel mondo che non c’è più, infrantosi nei muri altissimi del progresso e di questo tempo che ha rinunciato allo stupore, in nome d’una esistenza che si nutre solo di concretezza e opulenza, che dimentica in fretta e che al sogno raramente si concede.

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