Il sempre attuale “bugiardo” di Goldoni riproposto al Teatro Vittorio Emanuele di Messina

Nella più veneziana atmosfera delle maschere, è andato in scena al Vittorio Emanuele “Il bugiardo” goldoniano, diretto dal messinese Giorgio Bongiovanni.  Un lavoro che affonda le radici nel precedente laboratorio sulla maschera e che, grazie all’esperienza del regista allievo di Strehler, efficacemente coniuga modernità e tradizione. Oltre la commedia dell’arte, oltre il canovaccio e i caratteri fissi cuciti addosso ai personaggi e spazzati via dalla riforma di Carlo Goldoni, “Il bugiardo” di Bongiovanni guarda alla realtà, pur sempre innestata in quella tradizione che valica i secoli, gli artisti, le mode.
Un Angelo Campolo in grande spolvero indossa i panni del bugiardo Lelio, figlio di Pantalone, che delle “spiritose invenzioni” ha fatto la sua ragion d’essere e che, lungi dal prevederne i risvolti meno gradevoli, istrionicamente distribuisce menzogne. Una maniera, la sua, di manovrare uomini e cose, sempre giovandosi del fido e per nulla tonto Arlecchino. Ciononostante su Lelio sembra non pesare il giudizio moralistico della società, men che meno quello dello spettatore. Finanche innanzi alle accuse dei personaggi sulla scena, quando il bugiardo viene smascherato e si abbandona a un altrettanto bugiardo pentimento.
Dalle menzogne di Odisseo ai personaggi di Alarćon e Corneille o, all’ancor più famigerato Don Giovanni di Molière, il bugiardo ha costituito un fortunato cliché letterario. Ché i bugiardi sono pure ingegnosi, astuti, maledettamente incorreggibili. E da sempre, ove si affaccenda il consorzio umano, una sottilissima linea di confine separa menzogna e verità. Lo sanno bene i diffidenti cronici che nel dubbio hanno relegato la più investigativa e invivibile esistenza.
Le due donne attorno cui la vicenda si dipana, e per le quali poveri cristi patiscono immani pene d’amore, incarnano appieno l’ideale della frivolezza muliebre. Non son mosse da profondi sentimenti, bensì dal desiderio di accasarsi, di avere un posto nel mondo e una mano da stringere. Per nulla inattuali nel bramare ciò che il ventunesimo secolo convenientemente tace. È desiderio del padre maritare Beatrice e Rosaura, che nel frattempo civettano dalla terrazza di casa, ben distanti dai tormenti inscenati nei balconi di shakespeariana memoria. Ché tanto la Venezia di Goldoni è quella degli affari, del denaro a muovere il mondo, delle chiacchiere da bottega, degli equivoci.
Così, in un crescendo di situazioni Fallaci e rocambolesche invenzioni, lentamente si sbroglia la matassa. Due coppie di futuri sposi e l’emarginazione dell’unico uomo attraente, a rispolverare il sempiterno fascino del maledettismo. Si assolva dunque Lelio, si assolva la menzogna, si assolva uno scenario entro cui oggi e sempre la gente si dimena come può. Per sopravvivere.

ARTICOLI CORRELATI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

SEGUICI SUI NOSTRI CANALI SOCIAL

6,704FansLike
537FollowersFollow
1,057FollowersFollow
spot_img

ULTIMI ARTICOLI