Al cospetto del sé più autentico, l’uomo sul sentiero dei passi pericolosi

Al Teatro dei tre mestieri ti accolgono Angelo Di Mattia e Stefano Cutrupi. Fanno gli onori di casa e ti parlano volentieri della prima stagione in quello spazio ritagliato nella Messina sud dei centri commerciali e della multisala, ove l’apertura all’arte performativa per eccellenza costituisce ancora una sfida. C’è tuttavia grande entusiasmo, c’è voglia di fare e dare a un territorio che ha fame di nuovo e di uno “svago” alternativo ai cocktail e alle chiacchiere coperte dal frastuono nei locali.
Il teatro, certo teatro, compie del resto il miracolo di lasciare fuori la vita, per un po’. E di regalarne una tutta nuova. Da portare con sé e da scomporre mentalmente in mille pezzi appena superata la soglia che separa il teatro dal palcoscenico più ostico: il mondo.  In scena, ieri, al Teatro dei tre mestieri “Il sentiero dei passi pericolosi” del canadese Michel Bouchard.  Sulla scena tre uomini con indumenti lacerati. Orologi attorno a loro, ciascuno a fissare un tempo differente. Birre e birre, poi ancora una pista elettrica, sulla quale corre una macchinina soltanto.
Vittime di un incidente, tre fratelli si muovono in uno spazio circoscritto e a loro ben noto, in un tempo tuttavia imprecisato. Soggetti disancorati dalla realtà e catapultati in un altrove che non lascia spazio ai silenzi e che anzi li sprona a vomitare finalmente il non detto.
Dinamiche ascrivibili alle famiglie d’ogni dove si srotolano ammantate della grettezza, della rabbia, della nevrastenia umane. Tre è sempre un numero che non funziona a livello filiale: ora vicendevolmente si massacrano il borghese piccolo piccolo Carl e l’omosessuale Ambroise, ora i due si coalizzano contro Victor. Un misero gioco di alleanze e di trasformismi più o meno volontari, per scandagliare le profondità entro cui tutti a proprio modo sono annegati vivendo.
Ad avvinghiare i fratelli, ciascuno carnefice e vittima degli altri due, un terribile peso da portare sulla coscienza, una macchia indelebile sulle tre vite, una colpa che non prevede espiazione e che merita, secondo Victor, di culminare nel gesto estremo appena perpetrato.
Le attenuanti per aver lasciato annegare il padre, reo quanto si voglia ma pur sempre padre, si affastellano in quel confuso ma lucido recupero del passato quando ormai è troppo tardi. Quando la macchinina della pista ha accelerato in curva. Quando il meccanismo di rimozione si è inceppato e tutto si è arrestato lì, d’un colpo.  Ché ciascuno ha la propria ora, ciascuno un proprio vissuto, ciascuno il proprio peso da portare. E nulla, finanche la morte, può sottrarre all’uomo l’assurdo libero arbitrio di calcare il più pericoloso sentiero, quello dell’anima.
Grande performance degli attori Andrea Fazzari, Mauro Parrinello e Matteo Sintucci. Non una sola increspatura nel tirare fuori le proprie sporcizie e sempre puntando il dito contro quelle altrui. Voce, occhi, mani a rivelare l’essenza dell’uomo solo, indifeso e indifendibile, al cospetto del sé più autentico. Meta cui solo attori d’un certo calibro, nel faticoso compito di diventare personaggi, possono tendere.  La regia di Simone Schinocca muove con garbo le pedine del gioco e, senza orpelli, effigia il grado zero della convivenza umana, tutte le volte freddata dalla propria autoreferenzialità. Una maniera quasi animalesca di rappresentare la famiglia e, prima d’essa, l’uomo.

ARTICOLI CORRELATI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

SEGUICI SUI NOSTRI CANALI SOCIAL

6,704FansLike
537FollowersFollow
1,057FollowersFollow
spot_img

ULTIMI ARTICOLI