Nell’ambito della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica e dell’Associazione Bellini, Brahms e Dvorak sono stati eseguiti ieri dal Quartetto Guadagnini, giovane formazione in progress che attualmente segue i corsi dello storico violinista Hatto Beyerle ma ha già all’attivo esibizioni nelle più importanti sale da concerto italiane e prestigiosi riconoscimenti internazionali. Fabrizio Zoffoli e Giacomo Coletti ai violini, Matteo Rocchi alla viola e Alessandra Cefaliello al violoncello costituiscono attualmente una delle più promettenti formazioni cameristiche d’Europa.
Al Palacultura di Messina, dapprima il “Quartetto op. 51 n. 1 in do minore” di Johannes Brahms, frutto di otto anni di gestazione e un lungo approfondito tirocinio del compositore tedesco, che abbozzava i Quartetti, ne parlava con gli amici nelle lettere, ne faceva ascoltare alcuni frammenti e poi, insoddisfatto, li distruggeva. “È ben facile comporre, ciò che invece è tremendamente difficile è scartare le note superflue”, sosteneva.
Il primo movimento eseguito dal Guadagnini, “Allegro”, è di grande tensione drammatica e alterna un tema vigoroso e perentorio a un altro più disteso. La “Romanza” è intimo e dai toni contemplativi. Il terzo, “Allegro molto moderato e comodo” assume toni malinconici e vanta un breve episodio centrale a ritmo di valzer viennese. Il movimento finale, “Allegro”, si caratterizza per la frenetica polifonia e conferisce un carattere ciclico all’intera composizione.
La seconda parte del concerto ha invece puntato sulle note di Antonin Dvorak e su quel “Quartetto op. 96 Americano”, composto nel 1893 durante un soggiorno estivo nello Iowa e ispirato dalla malinconia che al compositore ceco suscitava il suo paese di origine, delle cui melodie è pieno il brano. Dvorak era allora in contatto con le popolazioni indiane e non è escluso che a loro rimandino gli ostinati ritmici dell’ultimo tempo. “La mia attenzione si è rivolta verso queste melodie native”, dichiarò durante un’intervista rilasciata al New York Herald nel dicembre del 1893.
Scroscianti applausi ai talentuosi artisti a fine concerto e un bis d’eccezione: il primo contrappunto da “L’arte della fuga” di Johann Sebastian Bach.