Il Signor Dopodomani di Domneico Loddo: “La cellula compositiva nasce da Vecchio Frac di Modugno”

Cittadino dell’Olocene, monco amanuense, incauto manipolatore di parole, sudrealista (realista del sud). Era già tutto questo Domenico Loddo, classe ‘70, al tempo della sua prima silloge di racconti “Esercizi materiali. Letture per sale da tè, d’attesa, da bagno” (Città del Sole Edizioni, 2007).
Negli anni, una mole non indifferente di altri racconti, romanzi, monologhi, testi per il teatro, fumetti. Un vulcano, un infaticabile produttore e storpiatore di parole al quale se chiedi di commentare il suo percorso artistico risponde: “supero continuamente me stesso, ma arrivo sempre secondo”. E lì comprendi quanto l’arte possa essere un puro sollazzo dell’anima se la si affronta con la leggerezza e la scapataggine con cui ahimè non ti è sempre dato affrontare la vita. Tra le parole buttate giù da Loddo, quando ancora era Domenico, “Frammenti tellurici, un monologo per due voci è una solitudine” (Città del Sole Edizioni, 2008), un puro esercizio per la memoria che aspira legittimamente al teatro, che mescola prosa e versi, che parte dal terremoto del 1908 per scavare nelle macerie dei cuori e rinvenirne gli impercettibili battiti.
Ed era ancora Domenico Loddo al tempo di “Stupor Stupri, 3scritti 3mendi” (Città del Sole Edizioni, 2012) che contenevano “Il Signor Dopodomani”, in scena giovedì 19 al teatro Dei 3 Mestieri, con la regia di Roberto Zorn Bonaventura e, unico attore sulla scena, Stefano Cutrupi.
Di recente, a teatro, con la drammaturgia di Domenico Loddo, che nel frattempo era diventato Domneico per un errore di stampa poi ufficializzato dall’uso, “Alpha e Omega” e “Dora in avanti”, due delle piccole perle di drammaturgia che hanno oltrepassato lo Stretto e di cui ci siamo anche noi occupati. “Il Signor Dopodomani. L’indicibile sproloquio di un condannato a vivere” è un ritorno al Teatro Dei 3 Mestieri di via Roccamotore. Ed è un uomo in frack, a voler sintetizzare senza svilire e senza spoilerare, che rinvanga un amore, che cerca pace, che disperatamente tenta di scacciare il dolore, o di ricomporre sul palcoscenico tutto ciò che la vita frantuma.
Un testo non facile di cui abbiamo voluto parlare con l’autore, sempre affabile, semiserio. Dentro ai suoi abiti monocromi, Loddo contiene un universo di parole colorate e colorite, con le quali non smette mai di giocare.
Come nasce il Signor Dopodomani?
La cellula compositiva è arrivata da “Vecchio Frac” di Modugno. Da sempre quei tre minuti di canzone hanno riempito il mio immaginario di bambino, e all’ennesimo ascolto da adulto, ho cominciato a costruirci sopra una storia, o meglio, la storia di un abbandono.
Quanto il testo da cui prende le mosse lo spettacolo è stato modificato nella trasposizione teatrale?
Il testo, da quella prima versione, ha avuto almeno dieci riscritture. Come una piccola casa iniziata a costruire per gioco che poi ti diventa un grattacielo tra le mani, e nemmeno te ne accorgi.
Quanto è stato di fatto lasciato all’improvvisazione di Cutrupi?
Me la cavo facile, qui. Non c’era bisogno di alcun margine di improvvisazione. Il Signor Dopodomani è Stefano Cutrupi. Punto.
Hai interagito con il regista durante la gestazione dello spettacolo o ti sei limitato ad affidargliene la drammaturgia?
Io e Roberto Bonaventura non ci conoscevamo prima di questo lavoro, e probabilmente continueremo a non conoscerci. Scherzo. Noi tre ci siamo visti una sola volta, prima delle prove, per una lettura chiarificatrice. Voleva capire, oltre le parole, cosa c’era tra quegli spazi bianchi. E lui non solo ha rispettato le mie intenzioni, ma gli ha dato senso. Inevitabilmente ha tolto,aggiunto, spostato e valorizzato la materia poco teatrale che aveva accettato di dirigere. Se il risultato è, come mi sembra di poter affermare, potente, il merito è del suo tocco.
Quanto c’è di Loddo nel Signor Dopodomani?
Dentro c’è molto più di quanto avrei voluto metterci di me, nel bene e nel male. E, per ironia della sorte, il lavoro di Roberto e di Stefano ha amplificato e migliorato l’impatto emotivo.
Vederlo in scena mi ha toccato. A teatro c’è questa magia unica. Puoi anche aver scritto tu ciò che stai guardando, ma ti sorprende sempre vedere le tue emozioni, fatte di parole appese su un foglio, diventare corpo, suono, sudore. In particolare proprio questo testo, che mi restituisce dolori antichi. Passando tra le luci su un palcoscenico è come se tornassero indietro più lievi. Li guardi e ti guardi con più comprensione e, in un modo tutto misterioso, riesci pure a perdonarli.
“Il Signor Dopodomani” andrà in scena giovedì 19 alle 21 al teatro Dei 3 Mestieri. In frack naturalmente e con le canzoni, le voci, i rumori di tutto un passato da ricordare.

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