Prendi un innocente e fanne un detenuto. Quindi restituiscilo al mondo e affidalo all’insensatezza dei rimedi per riappropriarsene. Ti ritroverai innanzi il più malandato degli uomini. Il peccatore senza peccato. Il supplice. Il morto che cammina. È la società ad aver messo in ginocchio Mockinpott, ad avergli stravolto mille volte il cognome poi, una volta per tutte, la vita. Ché l’obbedienza non paga, come del resto la passività, la mitezza. Ché il mondo è un mostro dalle larghe fauci e se non sei lesto a sgattaiolare, con mille espedienti diversi, ti divora.
Questo il soggetto della drammaturgia di Daniele Gonciaruk, che ne “I tormenti del Signor K”, andato in scena alla sala Laudamo nell’ambito della rassegna Show Off, recupera quel po’ di Kafka, Weiss e Brecht utile alla rappresentazione dell’uomo contemporaneo. Una tragicommedia dalle sfumature fiabesche, eppure trasversalmente realistica nella caratterizzazione dell’individuo che soggiace al mondo. È lo stesso Gonciaruk a vestire i panni ora del secondino, ora dell’avvocato, ora del direttore del carcere, ora della moglie, del datore di lavoro, del medico/macellaio, del boss locale, e di Dio. Accanto a lui Gaetano Citto nel ruolo del Signor K, al quale sfuggono ogni tanto le battute d’un copione interamente in rima. Sarà stata la stanchezza, alla terza replica. Ancora, uno smagliante Gerry Cucinotta nei panni dell’alcolizzato clochard Brandy, tanto grillo parlante quanto inconcludente. Infine gli angeli, allievi della scuola Sociale di Teatro diretta dallo stesso attore e regista messinese.
Al povero Signor K, com’è stato ribattezzato, senza ch’egli battesse ciglio, non serve l’intervento del medico che gli trapana il cervello. E non serve la finta commiserazione del pezzo da novanta. Fantozzianamente ossequioso, il Signor K ripone fiducia in loro, come continua a riporne in quella moglie che, a voler prestare orecchio alle parole del malpensante Brandy, s’è certamente rifatta una vita. Giusto al cospetto di Dio, il vecchio Mockinpott sembra aver perso fiducia in quel mondo che lo ha perseguitato e verso il quale adesso, finalmente, prova legittimo sdegno. Non v’è riscatto per gli sconfitti. Men che meno salvezza. E mentre gli angeli beffardamente gli intonano un Miserere, il Signor K aspetta, in disparte, che si compia il suo destino. Come vuole il Creatore.