La drammaturgia di Éric-Emmanuel Schmitt per un gioco al massacro tra le asfittiche mura domestiche

Torna a teatro l’atto unico dello scrittore belga Éric-Emmanuel Schmitt “Piccoli crimini coniugali”, appena un anno fa sul grande schermo nell’omonima pellicola di Alex Infascelli. E sono Michele Placido, che del testo ne ha curato l’adattamento, e Anna Bonaiuto a mettere in scena al Vittorio Emanuele questo piccolo gioiello di Schmitt che fornisce un interessante spaccato della vita matrimoniale, demolendo con acume il borghese rassicurante ménage familiare di una coppia come tante. Alla regia lo stesso Placido, in gran forma a dispetto dei suoi settantadue anni e di quella chioma bianca che segna la distanza temporale tra Gilles e il commissario Cattani. 
È un gioco al massacro quello che, sull’altalena del matrimonio, intraprendono lui e Lisa tra le asfittiche mura domestiche. Due universi dissimili, costretti a dividere i medesimi metri quadrati, in quindici anni possono diventare estranei. Allora delimitare il proprio spazio, vitale ed emozionale, il più delle volte si trasforma in una battaglia senza esclusione di colpi tra due esseri imperfetti cui la tregua o la fuga sembrano le uniche vie percorribili per raggiungere la salvezza. La finta amnesia di Gilles è l’occasione servita su un piatto d’argento a Lisa per imbastire la relazione che ha sempre desiderato. Un marito con pochi difetti e tanti pregi: un marito inesistente insomma. E per quanto la donna si sforzi di renderlo credibile, suona come una nota stonata sul pentagramma di una natura, quella maschile appunto, che con poche eccezioni manca atavicamente di empatia, abnegazione, percettibilità.
Chi mai crederebbe alla gioia di un marito che accompagna la moglie a fare shopping e che per ore l’aspetta dietro un camerino? Chi mai a una passionalità senza intervalli? Chi all’eterna fedeltà? Gilles stesso non ha mai creduto nella vita a due, convinto si tratti di un’associazione a delinquere finalizzata alla distruzione del compagno. E carta canta. Ché se anche Lisa volesse dargli a bere il contrario, basterebbero i romanzi di Gilles a restituire la verità su un matrimonio ormai alla deriva. Non si comprende bene chi voglia cosa. Non si sa mai se restare o andare. Il serratissimo confronto verbale tra i due protagonisti denuda le miserie della coppia, cui non resta che l’attrazione fisica a tenere in piedi la baracca.
Lisa, dilaniata dal terrore di perdere Gilles, ha vissuto in solitudine le sue paure, per poi annegarle nell’alcol. Da una parte il desiderio di fuggire, dall’altra il timore della disperazione cui potrebbe andare incontro di là dalla porta di casa.
Manca a entrambi quel coraggio che salva. O uccide. Manca la forza di ricominciare in un altrove che magari non esiste. E manca la rassegnazione al fallimento, individuale e sociale. Quindi si depongono le armi e ci si scioglie in quell’abbraccio che sa di precario, ma che è pur sempre un modo di ricominciare, o di rinviare di un po’ la prossima battaglia. Nulla da eccepire sull’interpretazione di due attori navigati come Michele Placido e Anna Bonaiuto. Molto invece da contestare a Gilles e Lisa, temporeggiatori in quella guerra che, così facendo, non avrà mai fine.

ARTICOLI CORRELATI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

SEGUICI SUI NOSTRI CANALI SOCIAL

7,108FansLike
549FollowersFollow
1,057FollowersFollow
spot_img

ULTIMI ARTICOLI