Al Palacultura l’Opera dei Pupi con Il gran duello di Agricane e Orlando per amore di Angelica

La stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica e dell’Associazione Bellini ha riservato a un pubblico di adulti e piccini l’antica e famosa tradizione dell’Opera dei Pupi catanese. In scena “Il gran duello di Agricane e Orlando per amore di Angelica” della Compagnia Marionettistica Fratelli Napoli, accompagnata dal mandolino, dalla mandola e dalla chitarra del Trio Gioviale.
Un gran successo a guardare i volti degli spettatori e i bambini incollati alle poltrone con gli occhi spalancati innanzi a un mondo nuovo che nulla ha a che fare con la TV, il cinema, i videogiochi cui sono abituati.
Una compagnia fondata nel lontano 1921 che, senza posa, ha proseguito il proprio itinerario artistico al succedersi delle generazioni. I Napoli, sulla base di codici tramandati da padre in figlio, propongono infatti spettacoli con recita a soggetto e testi di antichi canovacci grazie ai quali una moderna drammaturgia si fonde con le regole tradizionali di messinscena. Una magia teatrale che si serve di tutto un armamentario costituito da scene, armature, costumi, suoni e che dell’improvvisazione fa la sua carta vincente.
Dalla performance del direttore artistico, primo parraturi e coautore del testo Fiorenzo Napoli trasuda tutto l’amore per questa antica tradizione che di concerto agli altri membri della Compagnia mantiene, rinnova, regala all’Europa intera.
All’indomani dell’arrivo di angelica a Parigi c’è scompiglio tra i paladini. L’imminenza della guerra non sottrae Orlando al desiderio di sovvertire l’ordine delle cose e di inseguire la donna che ama. Non bastano le lacrime della moglie, non basta il senso dell’onore, non v’è cristianità che possa frenarlo. L’amore chiama, l’amore genera follia, l’amore non si presta a spiegazioni.
E, prendendo le mosse dal XIX canto del I libro dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, si dipana una vicenda che è in primis pretesto per parraturi, manianti e improvvisatori di caratterizzare alla propria maniera i personaggi cortesi d’una insigne tradizione letteraria. Al loro fianco, mai adombrati dai nomi altisonanti dei paladini, l’arguta comicità di Peppininu, maschera dialettale e uomo dei nostri tempi capace di strappare fragorose risate alla platea e puntare l’indice sui problemi dell’esistenza mediati dalla comicità.
In mezzo a una pletora di “masculi scunchiuduti”, non manca la cifra stilistica a muovere uomini e cose: l’aspirazione della vittoria del bene sul male. Il perfido traditore Gano di Magonza, i furfanti di strada travestiti da eremiti (“o fai il politico o fai il ladro e io ho scelto di fare il ladro perché mi è sembrato più onesto”), i saraceni cattivi, i giganti, i draghi non sono altro che il mondo. Quello di sempre. Reso peraltro fulgido di incanto e orrore dalle armature luccicanti, dai costumi opulenti, dalle fughe prospettiche delle scene, dalle danze delle spade, dal sangue che scorre sugli indumenti.
Il sentimento si fa gesto, comunicazione, arte. Il mezzo risulta potentissimo se arriva a giovani e meno giovani. A riprova di come la tradizione faccia antropologicamente parte di noi, summa di un passato che ci è ignoto ma che non perde occasione di stuzzicarci, di incantarci.

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