Gassmann commuove con la follia contemporanea di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”

“Qualcuno volò sul nido del cuculo” è il romanzo che Ken Kesey pubblicò nel 1962 dopo aver lavorato come volontario in un ospedale psichiatrico californiano, reso celebre dal bellissimo film di Forman con un immenso Jack Nicholson. Quella andata in scena ieri sera invece è una trasposizione spazio temporale, oltre che scenica, quella pensata da Alessandro Gassmann e Maurizio de Giovanni.

Senza tradirne la forza e la sostanza visionaria, il regista ha riadattato il protagonista Dario Danise, la sua storia e quella dei suoi compagni nel 1982, nell’Ospedale psichiatrico di Aversa, a ridosso dell’indimenticabile finale dei mondiali di calcio. Il protagonista magistralmente interpretato da Daniele Russo è un “guappo” napoletano che, per fuggire dal carcere decide di trascorrere un po’ di tempo nell’ospedale psichiatrico. Ma non tutto andrà liscio secondo i suoi piani.

La recitazione, prettamente in dialetto napoletano, dona al personaggio sfumature irriverenti, e un’impertinenza che lo porterà a eludere le rigide regole dell’istituzione, nonché a rendere la prima parte dello spettacolo ( circa 2 ore), più leggera e divertente rispetto al testo originale e al secondo tragico atto (di circa 30’).

Mettete uno scugnizzo napoletano, un gay non del tutto consapevole, un sex machine romagnolo avverso alle mattonelle verdi e l’austero ospedale psichiatrico si trasforma in una smorfia e grottesca commedia dialettale con battute fulminanti, irriverenti e risate in cui lo spettatore fatica a tratti a seguirne il ritmo incalzante.

Assieme a lui altri sei pazienti acuti ( quelli curabili, quelli che si sono rinchiusi volontariamente, ipoteticamente guaribili ma impauriti dalla vita reale): Gilberto Gliozzi, Mauro Marino, Daniele Marino, Marco Cavicchioli, Alfredo Angelici, Giacomo Rosselli. Sette dialetti, sette personalità complesse e divertenti che trascorrono la maggior parte del tempo in sala giorno frastornati dall’irruenza e dalla disobbedienza al regolamento del focoso Danise.

Contraltare e burattinaia di ferro del manicomio la “capa di pezza” suor Lucia (Elisabetta Valgoi), indubbiamente la più nevrotica e meno umana del gruppo. Ad interpretare il “pazzo” bipolare affetto da doppia personalità, una vecchia icona degli anni ’80, Giacomo Rosselli, protagonista della serie “I ragazzi della terza C” ed oggi apprezzato attore teatrale.

Gassman non è nuovo a portare in scena temi di denuncia sociale, e ora ancor di più con questo testo considerando i temi forti che contiene come quelli della malattia, della diversità, della coercizione, della privazione della libertà. Nella realistica scenografia a due piani di un padiglione luminoso, sotto, con alte vetrate e gabbiotto, e, sopra, uno più oscuro di celle per i pazienti cronici. l’effetto cinematografico con l’uso delle videografie ha aggiunto una componente drammaturgica sostanziale alle scene.

Di grande effetto la sequenza finale in cui il gigante Ramon, il paziente sudamericano che per molti anni si è finto sordomuto, si sente piccolo e inadatto e proprio per questo si chiude totalmente al mondo. Solo Danise scoprirà la sua vera identità scatenando una serie di conseguenze che porteranno a un tragico finale “tridimensionale”: Ramon che scaglia la statua della Madonna contro la vetrata coi vetri che si infrangono ed irrompono sullo spettatore, così come la figura enorme del gigante che fugge e viene incontro alla platea per riconquistare la sua libertà.

Una trasposizione che è piaciuta, ha fatto ridere, commuovere e convinto la numerosa platea del Vittorio Emanuele. Ancora una volta Gassmann ha sapientemente affrontato tematiche sociali con un’ottima regia e con una rilettura contemporanea convincente. Prossime replice sabato 3 e domenica 4 dicembre.

 

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