L’irriverenza degli Oblivion, una ventata d’aria fresca al Vittorio Emanuele

Irriverenti, sferzanti, diabolicamente creativi, unici e inimitabili, gli Oblivion, che hanno calcato la scena dei più importanti teatri italiani, ieri hanno ufficialmente dato il via alla stagione musicale 2019 del Vittorio Emanuele.

“The human jukebox” è l’originale spettacolo, diverso per sua natura a ogni replica, che i cinque madrigalisti post-moderni portano in giro per l’Italia e che si nutre degli umori, dei gusti di un variegato pubblico, attingendo a uno sconfinato repertorio per restituire, riveduto e scorretto, il panorama musicale scelto come da un vecchio Wurlitzer.

In cinque minuti, a cappella, i sessantotto brani che hanno vinto Sanremo, da Nilla Pizzi a Ermal Meta e Fabrizio Moro. Quindi Il Volo da demolire, indossando bavaglini, adattando alle note un testo senz’altro più divertente di quello originale e sfoderando doti canore di tutto rispetto.

Via via che il pubblico suggeriva gli ingredienti, gli Oblivion masticavano e digerivano in diretta le note di De Gregori, Modugno, Battisti, Battiato, Mina, Morandi. Talvolta limitandosi a mimare i brani, dandone chiaramente una personale interpretazione, talaltra fondendo “vocalist e consonant” per restituirli tutti interi.

Strappavano Sfera Ebbasta, procrastinavano i gruppi stranieri, intanto mettevano su il più esilarante festival cui abbia mai assistito: il Festival Zar. Cantanti italiani in esilio del calibro di Al Bano e Romina Power, dei Ricchi e Poveri, di Pupo e Tozzi. Ché la gelida Russia pare possa ancora scaldarsi con le loro intramontabili voci.

“La cura” di Battiato, Aspirina in mano, trasposta sul versante medico. Mina in chiave rap. Vasco tutto da improvvisare. Ranieri e i Beach Boys, Elio e Pavarotti, i Queen e Morandi, il Povia di “Luca era gay” e il Gospel.

In barba alle delimitazioni di genere, Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli hanno letteralmente calpestato la pretesa di serietà della musica, affidandole piuttosto il compito di divertire, di solleticare un pubblico che non smetteva di ridere.

Sul finale nientemeno che la storia del Rock in cinque minuti, nessun escluso. Questo OGM che svaria tra nostalgia e modernità, tra giocoleria e cabaret, tra intrattenimento leggero e satira di costume ha inanellato a Messina l’ennesimo successo. Spiace soltanto vi fossero troppe poltrone vuote alla prima di uno spettacolo davvero in grado di soddisfare tutti i palati.

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