Il braccio di ferro di Rosa Balistreri con le asperità del Sud e della vita

Negli spazi esterni del teatro Dei 3 Mestieri di Messina si è aperta, come di consueto all’insegna della musica, la rassegna Fuori in Scena 2022

Primo spettacolo della stagione estiva “Rosa, la Cantatrice del Sud”, scritto e interpretato da Laura Giordani, con le musiche dal vivo eseguite da Mimmo Aiola.

Una serata durante la quale è stato restituito con estremo garbo, con fare talora scanzonato per sfrondare di gravosità alcuni passaggi, l’universo screziato e, come tale, contraddittorio che ha dato i natali a Rosa Balistreri: la Sicilia.

Un affresco dipinto a suon di note. E del resto non si potevano meglio percepire i profumi, i sapori, finanche il tanfo di quest’isola dentro alla quale i contrasti costituiscono la regola nel rassegnato gioco dei giorni che all’apparenza scorrono tutti uguali.

Quella di Rosa Balistreri è peraltro un’esistenza sopra le righe. È una prova di coraggio, è il braccio di ferro con le asperità del Sud e della vita. Dai morsi della fame alle ferite inflitte da un sistema patriarcale dentro cui non v’è spazio per la ribellione, dal dolore alla corsa verso l’unico orizzonte possibile: un altrove per ricominciare.

E nel tracciato irregolare della sua esistenza, tra le aritmie di un’anima che si dimenava nel mondo per resistere, Rosa cantava. Cantava sempre. Fu una specie di miracolo la sua voce, fu un miracolo l’uso che ne fece, furono miracolose le parole che Rosa sparse a inchiodare una Sicilia sorda e imprigionata nei suoi retrogradi pregiudizievoli schemi.

Laura Giordani e Mimmo Aiola da anni spargono a nome suo le note e soprattutto i pensieri di Rosa ovunque si trovino cuori in grado di accoglierli. Lei ha una voce straordinaria, a sostegno della quale intervengono all’occorrenza le doti attoriali che abbiamo avuto modo di apprezzare a teatro o nel grande schermo. Lui la scorta musicalmente. E tra i due v’è intesa, complicità. Nei momenti seri che preludono a un brano malinconico come, e ancor più, quando si tratta di smorzare i toni, di giocare con le parole, di acquisire un minimo di levità.

Ma, ben oltre i lidi ove si giunge chiudendo gli occhi e abbandonandosi alle note, a trasportare il pubblico nella Sicilia di Rosa provvede la poesia. Ché sono parole di rabbia, di protesta, d’amore e di libertà. E custodiscono la memoria. E sussurrano, affermano, urlano quali muri abbattere, su quali distese correre. Versi d’una attualità strabiliante.

Tra un brano e l’altro scorci di vita. Una narrazione, quella della Giordani, che non appesantisce lo spettacolo e che piuttosto disegna i perimetri dell’esistenza di Rosa, così speciale, così degna d’essere raccontata.

Ai brani di Rosa Balistreri, a quelli suoi e di Ignazio Buttitta, di Piazza, Li Causi, Belfiore, si intrecciano i canti della tradizione popolare. Ciascuno ricopre un ruolo preciso nello spettacolo che omaggia la Cantatrice del Sud, fino alle note di Mimmo Aiola dedicate all’artista licatese (Cantannu di Rosa). O Rosa, Rosa tu non cantasti pi nenti. O Rosa, Rosa sì c’a to vuci si senti.

A riprova di come la musica valichi i confini dello spazio e del tempo. A riprova di quanto bisogno ancora vi sia di biasimo, dissenso. E coraggio.

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