La costruzione di un mondo piccolo e ogni bellissima cosa ad affrescarne le bianche pareti

Pare si possa raccontare il dolore senza mai urlarlo. Piuttosto corredandolo d’una levità tale da renderlo sopportabile. E nel frattempo scommettere su un ampio ventaglio di possibilità che la vita, sgradevole quanto si vuole, ti offre se solo possiedi la disposizione d’animo necessaria ad accoglierle.

“Every brilliant thing” di Duncan Macmillian punta del resto sull’infinitamente piccolo per scampare alle grandi paure, adombrandole o tutt’al più trascinandole su un fronte ove la battaglia tra il bello e il brutto della vita risulti, a tutto vantaggio del primo, impari.

Sulla drammaturgia forte di Macmillian, una di quelle che arrivano diritte allo stomaco e qualche pugno te lo assestano pure, si è mosso con grande garbo Carlo De Ruggieri, cui spettava trascinare il pubblico negli occhi e nel cuore di un bambino alle prese con le illogicità della vita. Affastellando perché e di rado ottenendo risposte soddisfacenti.

Tradotto e diretto da Monica Nappo, prodotto da Nutrimenti Terrestri, “Ogni bellissima cosa” è lo spettacolo andato in scena ieri al Clan Off Teatro. Ed è la storia di un bambino cui la vita ha presto iniziato a destinare turbamenti di varia natura.

La morte appresa dal veterinario, quando era l’ora di dare il sollievo definitivo al proprio cane; la depressione e il primo tentativo di suicidio della madre, una cosa stupida alla quale occorre opporre una lunga lista di cose belle tra una visita in ospedale e Ugo, il cane calzino della maestra Borghi; tra il peso della colpa cui incappano i figli dei suicidi e una particolarissima lettura di quella allegria dalla parte della quale talora pendeva l’umore ciondolante della madre.

La lista delle cose belle partiva da un gelato e negli anni, tra gli interstizi dell’esistenza ove vanno a nascondersi i rimedi, avrebbe scovato un milione di gesti, suoni, profumi, istanti, possibilmente non un numero preponderante di oggetti, cui aggrapparsi coi denti, per sopravvivere. Il mondo, dalla prospettiva di un milione di cose belle, si vede in modo diverso.

Che poi la vita continua pure a sbatterti in faccia la realtà, e lo fa coi mezzi più disparati, persino con quel capolavoro di Goethe che culmina nel suicidio di Werther; lo fa con un matrimonio fallito e lo fa con la morte e neppure due parole di congedo. Che poi la vita, dicevo, continua a mettersi di traverso. Ma tu sei lì. Incupito se è il caso, ma ci sei. Con un mucchio di cose andate e con quelle di là da venire. Con la carta da parati che contiene un pezzo di lista, le cose dell’infanzia e la maglia dei Blues Brothers.

La milionesima cosa a inglobare quelle precedenti: ascoltare un disco per la prima volta. Ché sempre la “prima volta”, l’incanto, la speranza ti salvano.

Bello che lo spettatore non abbia dovuto spiare dal buco della serratura la messinscena di una vita e che anzi sia stato chiamato a parteciparvi. Nessuna imbeccata per coglierne il senso più profondo. Del resto tutto era lì, a portata di mano. Bastava solo riconoscerlo. Magari chiudendo gli occhi su un incantevole assolo di batteria. E dimenticarti di sé.

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